Translated from English to Italian by Anna Feruglio Dal Dan
La Volta
Jo Walton
Questo racconto è apparso in edizione speciale in occasione della convention Novacon 2013, ed è disponibile online nella rivista elettronica Lightspeed
Stavo dirigendomi verso il Teatro del Sale quando vidi il corvo che si aggira attorno all’entrata del sostegno Newton. Speranza in genere non è un gran bel posto per gli uccelli,. Jay dice che è hanno bisogno di luce e l’intero interno di Speranza è un po’ come una città terrestre di notte, fra l’illuminazione stradale e i lampioni lungo le sbarre di sostegno. Non fa mai buio completo, ma non c’è mai la luce di un giorno terrestre, salvo che sotto le lampade delle fattorie, e chiaramente lì nessuno vuole incoraggiare la presenza di uccelli per via dei raccolti. E poi, dice sempre Jay, probabilmente la gravità gli crea dei problemi man mano che si sale su per le sbarre di sostegno, soprattutto al centro nella zona di caduta libera. E quindi gli uccelli qui o sono dipinti o fotografati o nei freezer con il resto dei geni. Però questa famiglia di corvi sembrava cavarsela bene.
Mei Ju fece un piccolo scarto vedendolo, ma a me i corvi sono simpatici. Mi ricordano la mia famiglia: non il massimo dell’eleganza, ma abbastanza ben messi nell’andare d’accordo fra se stessi e con il resto del mondo. Il corvo prese il volo, su da terra e via sopra i tetti, con il suo verso rauco, non il canto melodioso che uno in teoria si aspetta da un uccello. “Siamo a posto qui,” sembrava dire, e lo ripeté un paio di volte, “A posto qui. A posto qui.” Poi se ne andò via, sbatacchiando le grandi ali nere che in punta si dividevano in tante penne come dita.
Io mi chiamo Fedra Oreille, sono nata nell’anno del Ratto d’Acqua, e sono cresciuta nel Fosso. La mia famiglia ci vive tuttora, nel Fosso. Mia mamma ha vissuto di supplementi per l’infanzia per la maggior parte della sua vita. Ha avuto fortuna, dei suoi figli tutti, tranne Lou, sono nati quando eravamo un po’ scarsi di popolazione e quindi c’erano dei sussidi per le madri. Fortuna sfacciata, mica calcolo, se l’avesse fatto apposta avrebbe aspettato un anno prima di avere Lou e sarebbe finita in pareggio, invece della botta che le è capitata. A suo onore devo dire che non ne ha mai fatto una colpa a Lou, per quando sia insensato un sacco di genitori ce l’avrebbero avuta con lui per la multa. La popolazione viene mantenuta più o meno stabile su Speranza con quelle che Jay chiama “leggere pressioni sociali ed economiche”, il che vuol dire che quando il tasso di natalità è basso ci sono sussidi e quando è alto ci sono multe. Il tasso ufficiale viene annunciato a capodanno per l’anno dopo quello a venire, e quindi c’è tutto il tempo di regolarsi. Non che mia mamma l’abbia mai fatto, ma c’è abbastanza gente che ci sta attenta e quindi la popolazione è più o meno costante – centoventicinque anni fa novecentomila persone hanno lasciato la Terra e ad oggi siamo poco sotto il milione. Jay dice che in teoria ci sono leggi per incoraggiare o scoraggiare le nascite in modo più drastico, ma non c’è mai stato bisogno di applicarle. C’è gente che disapprova quelli che non hanno figli, anche se non vedo . Dopo tutto il loro contributo alle banche genetiche l’hanno fatto comunque, no? Ma sono più quelli che disapprovano gente come mia mamma, con sette bambini da sette padri diversi, sei dei quali nati al momento giusto per permetterle di vivere nel Fosso in relativa agiatezza.
Quando Mei Ju e io incontrammo il corvo, verso la fine dell’anno del Ratto di Fuoco, non vivevo più nel Fosso, anche se ci tornavo spesso a trovare mia mamma e i piccoli. Me n’ero andata grazie ai miei sforzi, l’aiuto di Serendipity, e il potere trasformativo del ballette. Ballette viene da una forma di danza che si praticava sulla Terra, il balletto classico, che usava più o meno lo stesso tipo di musica e aveva molte mosse in comune, ma sulla Terra ovviamente i ballerini erano ostacolati dalla gravità, mentre qui il ballette si danza a metà dei supporti, in gravità ridotta. Nel ballette, si può partire dalle punte, fare quatto o cinque giravolte perfette a mezz’aria, e atterrare sulle punte con assoluta precisione, rivolti verso il pubblico, e poi, ta!, ripartire con grazia. Quando avevo undici anni, nell’Anno del Maiale D’Acqua, mi portarono in gita scolastica al Teatro Coppelie, sul supporto Newton, a vedere uno spettacolo. Era “Orfeo e Euridice”, e mi cambiò la vita. Uscendo non riuscivo a parlare, tanto presa ero della danza. Mi rendevo conto solo vagamente che non aveva avuto lo stesso impatto sui miei amici, che si erano annoiati, o l’avevano trovato così così, o divertente ma non eccezionale, com’è normale quando i bambini vengono a contatto con l’arte. Io sola ero stata rapita. Ci sono ballerini odiano le matinee per le scolaresche, dicono che i bambini non capiscono e che non stanno mai fermi. Ma io ricordo quel momento in cui ero rimasta seduta lì immobile, trafitta, e ogni volta che mi riscaldo so che mi preparo per quell’unica anima fra le moltitudine di gioventù inquieta.
Naturalmente, a partire da quel momento in cui l’esistenza del ballette mi si era rivelata, non avevo desiderato altro che vederne ancora, e di esserne parte. Era un desiderio completamente diverso da qualunque avessi sperimentato in vita mia fino a quel momento. Era come se dal primo salto a cui avevo assistito qualcosa in me avesse saputo che il ballette era mio. Era un desiderio feroce, una decisione di fuoco. Sapevo che nessuno avrebbe potuto fermarmi, e nessuno mi fermò. Chiesi a mia madre, che reagì con benevole perplessità. Era allora incinta di mia sorella Laura. Mio fratello Lenny, che aveva svezzato da poco, la seguiva continuamente per attirare la sua attenzione. Allora chiesi alla maestra che ci aveva accompagnato al Teatro Coppelie, M. Agostini, che mi disse che i ballerini cominciavano a studiare a sette anni, e che comunque la nostra scuola non offriva corsi di ballette. Cercai online e trovai dei corsi, ma naturalmente erano tutti in scuole di ballo su per i supporti, e comunque troppo costosi per me. Non avevo intenzione di arrendermi così facilmente, e cominciai a cercare delle borse di studio. Ce n’erano, ma tutte per bambini molto più giovani di me: M. Agostini aveva ragione in quello. Ma continuai a cercare, e fu allora che incontrai Jay.
Jay era un Cane di Metallo, cioè due anni più vecchio di me. Per due adulti non sarebbe stato nulla, ma a undici e tredici anni due anni sono un’eternità. Non avremmo potuto essere più diversi. Jay veniva da Massima, su verso la cima di Copernico, che era in tutti i sensi tanto distante dal Fosso quant’era possibile in un mondo piccolo come Speranza. Era figlio unico. I suoi genitori erano ricchi, sua madre era un ingegnere e suo padre un professore di letteratura. Vivevano in alto sul supporto, dove la gravità era troppo bassa per un bambino, e quindi lo lasciavano spesso con bambinaie e governanti. Era molto solo, anche se lui dice che non se la passava troppo male. E così aveva programmato un filtro che scattava ogni volta che qualcuno sotto i quindici anni faceva delle ricerche interessanti: durante una sessione di ricerca particolarmente disperata sul ballette sul computer di scuola, comparve in una finestra di chat. Per Jay ero una causa, un progetto, qualcosa che poteva cambiare e di cui prendersi cura. Per me era un dono degli dei di Serendipity, la Fortuna fatta carne. Jay era una favorito della Fortuna. Mi trovò un programma che aiutava studenti di ballette che cominciavano in ritardo, e una oscura borsa di studio per artisti bisognosi, e mi fece vedere come combinarle. Mi aiutò a compilare le domande. E all’ultimo momento, quando pareva che tutto dovesse sfumare abitavo troppo lontano dalla scuola e la legge era inflessibile sul permettere ai minorenni di dormire in gravità parziale, mi scovò apparentemente dal nulla una borsa di studio per finanziare il costo del trasporto da casa mia. Fu solo anni dopo che scoprii che l’aveva istituita lui stesso, con i suoi soldi, ma mi aveva detto che era una borsa di studio per non ferire il mio orgoglio. Quando alla fine lo incontrai aveva diciotto anni ed eravamo già amici da anni.
“Quel corvo mi ha fatto fare un salto,” disse Mei Ju mentre svoltavamo attorno alla base del supporto per raggiungere l’entrata.
“E’ la prima volta che ne vedi uno?”
“Li vedo solo quando vengo qui. Su, attorno, a Kong Fu ci sono un sacco di pipistrelli, e una volta ho visto un gufo, ma questi qui sono gli unici corvi di cui sappia su Speranza.”
Era stato Jay a farmi incontrare Mei Ju. L’aveva conosciuta attraverso lo stesso genere di filtri online che ci avevano messo in contatto. Non so che genere di ricerca interessante l’avesse portata a Jay. E’ una massoterapeuta e un poeta, ha un anno più di me e uno meno di Jay, un Porco di Metallo Yin. Jay ed io siamo entrambi Yang, ovviamente, e forse quello è il problema.
Arrivammo di fronte alla porticina che conduce al Teatro del Sale, un portone come tanti altri, la cui unica distinzione era la scritta in lettere dorate “Florentia” sopra l’architrave. Mei Ju spinse l’anta del portone ed entrammo. Mostrammo le nostre tessere d’abbonamento a Maddalena, anche se sono certa che ci avrebbe fatte entrate comunque. Le degnò a malapena di uno sguardo. “Buon giorno,” disse.
“Buon giorno”, rispondemmo in coro. Nessuna delle due aveva optato Italiano, ma venivano al Teatro del Sale da tanto tempo che ne capivamo un bel po’.
Il Teatro del Sale è un club gastronomico costruito sotto il supporto Newton, da cui la sua forma peculiare e il soffitto cavernoso. Funge anche da teatro, per lo più per la Commedia dell’Arte, ma di tanto in tanto anche vaudeville o satira politica. (Quella che mi piace di meno. Non capisco abbastanza italiano da seguire quello che succede e comunque la politica mi annoierebbe anche se capissi le parole.) Esiste da quando i nostri antenati sono arrivati su Speranza e ha un’aria di tradizione e antichità che pochi altri posti possiedono. Dicono che è ispirato ad un posto simile che esisteva a Firenze, e io mi diverto sempre a immaginare Macchiavelli, Dante e Savonarola che corrono ad accogliere gli gnocchi o ad applaudire quando uno squillo di tromba annuncia un arrosto. Inutile dirlo, era anche questo una delle scoperte di Jay. Serendipity ti trova di tutto, di più, ma per ogni volta che azzecca esattamente quello che volevi ce ne sono cento in cui ti seppellisce di dati inutili. Jay, grazie alle ore spese a in compagni di Serendipity durante la sua infanzia infelice, era sempre capace di ottenere il risultato giusto.
Jay, Midge e Genly erano seduti nella nostra postazione favorita, un tavolo da sei vicino al palco. Il Teatro del Sale ha di tutto, da tavolini piccoli piccoli per singoli o coppiette a tavolate immense per gruppi numerosi. Una delle cose che mi piacciono, qui, è che si vede gente di tutte le età: adunate di vecchi amici, fidanzati, carovane di giovani, famiglie con bambini, famiglie senza bambini, colleghi, pranzi di lavoro, studenti. Costa cinquecento all’anno, ma se si vuole per quella cifra si può mangiare ogni giorno. D’accordo, ci sono club gastronomici che costano molto di meno, quello di mia mamma costa solo ottanta, ma al Teatro del Sale hanno dodici portate, il vino è incluso, l’acqua è a volontà, e hanno spesso tartufi e perfino carne. Ho regalato abbonamenti a mia sorella Lucy e ai miei fratelli Luke e Liam per i diciotto anni. Liam ha ancora un paio di settimane. Lucy non ha rinnovato il suo abbonamento quando è scaduto, ma Luke sì. Eccolo lì, seduto ad un tavolino per due contro la parete. Lo salutai, ma mi ignorò, tutto concentrato sulla sua compagna, una Sino coi capelli lunghi.
“Siete in ritardo, andate a prendervi i ceci prima che finiscano,” disse Jay.
“Basta che non ci siamo perse gli gnocchi,” disse Mei Ju.
“Credo che stiano per annunciarli.” Jay si sedeva sempre nel posto da cui poteva vedere la cucina. Dice che lì il dramma è quasi sempre più interessante di quello che si vede sul palco, e ha spesso ragione. Andai sul retro della sala e mi riempii il piatto di ceci. Toccai Luke sulla spalla passando, e lui alzò lo sguardo e sorrise ma non disse nulla, per cui non mi fermai. Se era un incontro romantico, non lo volevo disturbare.
“Sì allora, la modifica alla capacità polmonare continua a esprimersi nei conigli, decisamente,” stava dicendo Midge quando mi sedetti nel poco spazio rimasto sulla panca accanto a Jay. Sul palco, Pierrot e Colombina mimavano il loro eterno, tragico amore. Midge era una Sino che aveva optato Anglo. Genly l’aveva incontrata ad una Ting, dove teneva un corso di biologia che lui aveva seguito. Midge aveva l’età di Jay, ventisette, anche lei una Cane di Metallo. “Sto chiedendo di continuare. Storcono il naso quando si tratta di test su animali di grossa stazza, ma è una direzione troppo promettente.”
“Che animale pensi di provare?” le chiesi.
“Pecora, se mi lasciano,” disse, riempiendosi la bocca con il resto dei suoi ceci. Io provai i miei. Erano deliziosi.
“Esperimenti sulle pecore vogliono dire agnello per pranzo,” disse Genly. “Approvo.” Genly era un’altra delle persone che Jay aveva scoperto grazie al suo filtro sui motori di ricerca. Era un Bue d’Acqua, un anno meno di me. Faceva l’ingegnere idraulico, era spaventosamente intelligente e mi metteva una certa soggezione. Nel giro di Jay tutti tendevano ad avere studiato più di me, io sì frequentavo tutta una serie di Ting su questa o quell’altra materia, ma la mia unica e vera specialità era il ballette. E poi comunque sì, Midge aveva un dottorato e parlava di modificare il genoma di un mammifero come se fosse una cosa perfettamente normale, ma Genly era in tutta un’altra classe di genio. I suoi genitori erano Franco, e una delle poche volte che avevo parlato davvero con lui era stato quando avevamo discusso l’uso di termini francesi nel ballette, una delle cose ereditate dal balletto classico.
“Se solo ci fossi tu nel mio comitato,” disse Midge a Genly. “Sarebbe tutto più facile. Più pecore uguale più agnello a tavola. Non ci sarebbe bisogno di spiegare per filo e per segno quanto il mio lavoro sarebbe utile una volta che saremo arrivati nel Nuovo Mondo.”
“Non arriveremo mai nel Nuovo Mondo,” disse Jay.
In quel momento il Magnifico si alzò in piedi, fece roteare il mantello rosso, e annunciò gli gnocchi. Una processione di sguatteri uscì dalla cucina cantando, in mano i vassoi fumanti, e ci precipitammo assieme al resto della sala a servirci prima che si raffreddassero.
“Cosa vuoi dire?” chiese Mei Ju mentre eravamo in coda. “Arriveremo nel nuovo mondo in centoventicinque anni.”
“E dire il contrario è come dire che la gravità non esiste,” disse Genly.
Jay rise, alzando le mani, le palme rosa verso di noi. “Oh, certo, Speranza ci arriverà, questo è certo come le tasse. Ma noi no. Noi saremo morti. Se uno di noi avrà dei pronipoti, forse da vecchi ci arriveranno loro. Ma noi? No. I nostri antenati, quando sono saliti su Speranza, andavano sul Nuovo Mondo? E i loro genitori, che sono morti sulla Terra? E i genitori dei loro genitori, che non hanno nemmeno mai sentito parlare del Progetto Astronave? E i miei antenati, trascinati nella stiva di una nave dall’Africa attraverso l’Atlantico, andavano verso le stelle?”
La coda avanzò, e noi con essa. “In un certo senso sì. I loro geni ci andavano. E nostri geni ci arriveranno,” disse Midge.
“A te, solo dei geni importa,” disse Genly, con un sogghigno.
“Mentre a me,” disse Jay, che avendo raggiunto la fine della coda porse il piatto per la sua razione di gnocchi, “dei geni non me ne importa assolutamente nulla.” Jay disprezzava i suoi genitori. Aveva persino rifiutato di dare il suo Contributo, anche se il rifiuto gli sarebbe costato la possibilità di essere considerato maggiorenne. Alla fine ero riuscita a convincerlo dicendogli che così come avrebbe donato un rene per salvare una vita, così il suo Contributo avrebbe permesso a una coppia sterile o consanguinea di avere dei figli, dopo la sua morte. “Sì, forse i geni di quei poveri diavoli dei miei antenati su quella nave schiavista arriveranno sul Nuovo Mondo, e così i geni di tutti i nostri antenati fino al primo ominide nella gola di Olduvai. Ma non io. E ne sono felice.” Fece un inchino al cameriere. “Grazie, grazie mille.”
Riportò il piatto al nostro tavolo. Io aspettai che la cameriera mi riempisse il piatto, la ringraziai e lo seguii. “Come puoi esserne felice?” gli chiesi. Gli gnocchi erano divini, come sempre. Ho mangiato gnocchi altrove, e li ho anche fatti in casa, ma non sono mai buoni come quelli del Teatro del Sale. Hanno il sapore che immagino avesse l’ambrosia.
“Ne sono felice perchè mi piace la vita su Speranza,” disse. “L’idea di zappare la terra sul Nuovo Mondo mi sembra il massimo della noia. E ho l’idea che voi lo odiereste ancora più di me.”
“Non tutti dovranno fare i contadini,” disse Genly, con la bocca piena.
“Verissimo. Avranno anche bisogno di ingegneri genetici, e di idraulici, e magari anche di massoterapeuti, il che vuol dire che Midge, tu e Mei Ju siete a posto. Ma non credo che avranno bisogno di artisti, il che vuol dire che non ci sarebbe posto per me, e per quanto riguarda Fedra, be’, il ballette non è possibile a gravità piena. E anche se lo fosse, la prima generazione passerà la maggior parte del suo tempo a zappare la terra, appunto. Avranno una civiltà del tutto diversa dalla nostra. I nostri antenati hanno avuto il buon senso di fare di Speranza una metropoli, e noi viviamo una vita metropolitana, con arte, e ricerca scientifica, e cultura.”
“Io non faccio l’idraulico,” disse Genly, alzandosi per andare a vedere se erano rimasti degli gnocchi.
“Riceviamo ogni sorta di dati scientifici dalla Terra,” disse Midge.
“E arte. E ne mandiamo dell’altra indietro. Ma ci vogliono anni perchè arrivi, in una direzione o nell’altra. Non è un dialogo.”
“Nelle scienze lo è,” disse Midge. “Jay, scusami, ma di queste cose non ne sai nulla, sei come i nostri antenati che si preoccupavano di tagliare fuori i loro discendenti dalla corrente della cultura umana.”
“E avevano ragione,” disse Jay. “Solo che non si erano resi conto che ci sarebbe andato perfettamente a genio.”
“Ma a me va bene,” disse Midge. “Ma d’altra parte, passo i miei giorni a lavorare per il giorno in cui arriveremo. In cui i nostri discendenti arriveranno.” Midge aveva un bambino di due anni che viveva con il padre, e quindi più di tutti noi aveva ragione di pensare che avrebbe avuto dei discendenti. Io ancora non sapevo se ne avrei avuti. Avevo donato un’ovaia, senza condizioni, come mio Contributio, per via del bonus. Era così che avevo potuto lasciare il Fosso e farmi l’intervento al seno per continuare con il ballette. Avevo tenuto l’altra nel caso volessi avere dei bambini quando fossi stata troppo vecchia per ballare.
“Va bene, il tuo lavoro è tutto orientato al futuro. Il mio no. Io lavoro per oggi. Amo Speranza. Il colore della luce sui sostegni, la luminosità traslucida delle tende di coltura. Amo i club gastronomici e le mostre e il ballette. E gli gnocchi e il dim sum e il cibo come arte. Amo vivere in una città in cui succede sempre qualcosa. Adoro scoprire cose nuove.”
“Ci sarà più che abbastanza da scoprire una volta arrivati,” disse Mei Ju.
“Ma non attraverso Serendipity,” disse Jay. “Sarà un modo di scoprire completamente diverso. A te piacerà. A me no. Io amo questo mondo, il mondo che abbiamo costruito in questa città, in questa nave. Una volta arrivati nel Nuovo Mondo non ci sarà bisogno di poesia.”
Mei Ju scrive poesie meravigliose in inglese. Non ha optato Anglo solo perchè non vuole dare un dolore ai suoi, il che probabilmente è la cosa più Sino in lei. Le ho chiesto una volta se non pensava che avessero indovinato, e mi ha detto di no, che semplicemente la credono molto intelligente. “Non vedo perchè i coloni su un nuovo pianeta non dovrebbero avere bisogno di poesia o di arte,” disse. “Mi sembra che possa ispirare ogni genere di nuove cose su cui scrivere. Nuove storie.”
Genly tornò con un altro piatto di gnocchi, e io mi pentii di non essere andata a prendere una seconda porzione. Di solito non ne avanzano mai. “Dici davvero che non sarà possibile avere il ballette?” chiesi. “Non ci avevo mai pensato.”
“Sì, il ballette morirà con la fine del viaggio,” disse Jay. “E’ stato inventato su Speranza. Altre navi non necessariamente avranno la stessa idea, e di certo non svilupperanno i nostri stili e le nostre tradizioni. E’ un’arte molto effimera la tua, vecchia di due generazioni e destinata a morire fra altre due.”
Per Jay questa era un’idea interessante, malinconica, magari, ma sopportabile. Aveva perfino un sorriso sulle labbra mentre ne parlava. Io volevo scoppiare a piangere, o urlare, o gettargli qualcosa addosso. Fu un bene che il sassofonista uscisse in quel momento ad accompagnare con grande fanfara il Magnifico che annunciava gli spaghetti alla carbonara. Tutta la troupe uscì sul palcoscenico e si inchinò in direzione della cucina. Fanno sempre così quando viene servita della carne, per farci apprezzare la fortuna che abbiamo. E di solito apprezzo di cuore, ma quel giorno confesso che non me ne importava un accidente. “Non voglio che il ballette sparisca,” dissi, riuscendo a malapena a controllare la voce.
Genly, che oltre ad essere un genio è una persona buona e sensibile, notò che ero sconvolta. Mi mise una mano sul braccio.
“Cosa vuoi dire?” chiese Jay. Tutti si erano alzati e ci stavamo dirigendo verso l’inizio della coda. Eravamo gli ultimi.
“Non possiamo condannare i nostri figli a questo destino,” dissi, citando le parole con cui il presidente Murphy aveva vietato l’imbarco a Speranza ai cittadini americani, la ragione per cui gli Anglo ancora oggi sono una minoranza su Speranza.
Jay fece un versaccio.
“Non possiamo perdere il ballette,” dissi. “E’ troppo importante. Non possiamo.”
“E’ inevitabile,” disse Midge.
“Questo lo vedremo,” dissi.
Continuai a pensarci mentre mangiavo. Il fatto è che volevo un futuro. E’ sempre stato così. Volevo dei bambini. E volevo che i miei figli, e i loro figli, e i loro figli, potessero continuare ad avere il ballette, e potessero danzare se volevano. Non che volessi essere uno di quegli orrendi genitori che spingono i loro figli a essere quello che non vogliono essere. La mia migliore amica alla scuola di ballette, Marie, aveva un padre del genere, che viveva solo per i trionfi di sua figlia e piangeva come una fontana ogni volta che la sua carriera non andava bene. Marie aveva lasciato il ballette, optato Vietnamita, studiato da pilota e a ventiquattro anni era sposata e con un bambino. La creatura più adorabile del mondo. Vive su in zona pilotaggio, che è una scocciatura immensa da visitare per cui non la vedo più molto spesso. Suo padre aveva cercato di trasferire la sua ossessione su di me una volta che lei aveva smesso e ho dovuto dirgli senza giri di parole di andare a cagare. Non voglio diventare come lui. Non spingerei mai i miei figli a diventare ballerini, o a diventare qualunque altra cosa. Non era per loro che volevo che il ballette sopravvivesse, ma per i bambini come me, chiunque fossero, di chiunque fossero figli. Non volevo vivere in un mondo senza ballette, in un mondo in cui quella porta fosse chiusa. Di questo ero sicura, come non ero mai stata sicura di nulla, mai, prima.
Ovviamente fu a Jay che mi rivolsi. Due altre portate erano passate: oltre alla carbonara, una zuppa piccante. Sul palcoscenico Pulcinella cantava, mentre altri attori gli facevano boccacce dietro le spalle. Ogni volta che un ascensore saliva lungo il sostengo il Teatro del Sale tremava, e gli attori reagivano con movimenti esagerati, facendone una parte dello spettacolo. “Come posso far sì che il ballette sopravviva per sempre?”
“Be’, dovresti far sì che Speranza continuai a viaggiare per sempre.”
“Ok, e come posso far sì che Speranza continui a viaggiare per sempre?”
“No, Fedra, davvero, non è possibile,” disse Midge. Aveva una leggerissima traccia di accento cinese quando parlava in inglese, ma solo quando era sotto stress. “Arriveremo, d’accordo, i nostri discendenti arriveranno, sul Nuovo Mondo e sarà la fine del viaggio.”
“E se continuassimo?” chiese Jay.
“Ma sei pazzo?” chiese Mei Ju. “Che senso avrebbe? Continuare a viaggiare per sempre?”
“E poi finiremmo i metalli rari e altri composti chimici,” disse Midge.
“Ma dai, quelli li potremmo tranquillamente estrarre dalle comete, come facciamo per l’acqua. E’ una tecnologia che abbiamo già,” disse Genly. “Non voglio dire che la trovo una buona idea, ma non ci sono ragioni scientifiche per cui ci dovremmo per forza fermare.”
“Be’, gli scienziati e gli ingegneri vogliono arrivare sul Nuovo Mondo!” disse Midge.
“Non ci arriveranno,” disse Jay. “E per quanto riguarda la domanda estremamente pertinente di Mei Ju, che senso ha fermarsi? Nessuno di noi si è offerto volontario per questo viaggio, siamo qui i nostri antenati hanno deciso in un certo modo. Ma noi possiamo decidere per noi, per le nostre vite, per i nostri discendenti.”
“Potremmo arrivare sul Nuovo Mondo, far scendere quelli che vogliono scendere e tornare indietro sulla Terra con il resto,” disse Genly. “A quel punto potremmo far sbarcare altra gente e imbarcarne altra e tornare al Nuovo Mondo, e via di questo passo. Avanti e indietro, come un ascensore. E così sia Midge che Fedra avrebbero quel che vogliono.”
“Brillante idea,” dissi, e diedi un bacio a Genly, che arrossì. Era molto chiaro di carnagione, e quindi si vedeva bene.
“Non funzionerebbe,” disse Jay. “Be’, una volta che si fosse stabilita una rotta magari sì, ma non la prima volta.”
“Perché? Non ci sono problemi tecnici.”
“No, tecnicamente è possibile. Non funzionerebbe per ragioni umane. Tutti gli scienziati vogliono sbarcare, no? Perchè vogliono esplorare questo mondo nuovo e raccogliere dati.”
“Ovviamente,” disse Midge. “E anche un sacco di altra gente vorrebbe sbarcare.”
“Esatto,” disse Jay. “Diciamo così: se noi, qui, seduti a questa tavola, dovessimo arrivare il prossimo anno, tu scenderesti. Chi altro?”
Mei Ju alzò la mano. Genly la sollevò a mezz’aria, tenendola orizzontale. “Io ci dovrei pensare,” disse.
“Io resterei,” dissi.
“Anch’io, ma così come il pianeta non ha bisogno di ballerini e artisti, la nave ha bisogno di gente che non sia ballerini e artisti. Gli ingeneri rimarrebbero, probabilmente, o almeno parecchi di loro, dopo tutto il loro mestiere è far andare avanti Speranza, è quella la loro vocazione. Ma perderemmo troppa gente per permetterci di mantenere il livello di civilizzazione che abbiamo adesso. Non ci sarebbe il pubblico per il ballette, e non ci sarebbero abbastanza nascite da continuare ad addestrare nuovi ballerini. E saremmo ridotti ad un solo club gastronomico.”
“Il Teatro del Sale,” dissi, nel momento stesso in cui Genly diceva “Kam Fung,” che era la sala di dim sum dove mangiavamo le altre volte.
Come in risposta, il Magnifico tuonò che erano in arrivo i fiori di zucca fritti, e tutti ci precipitammo a prenderli.
“C’è un altro problema, disse Genly, appena fummo di ritorno con i piatti colmi di fiori di zucca. “Mi ero dimenticato del reattore a fusione.”
“Perché?” chiese Jay. “Pensavo che potesse continuare a funzionare per sempre.”
“Be’, per sempre no, ma per qualche migliaio di anni sì,” disse Genly, parlando in tono preciso. “Ma l’idea è che una volta arrivati sul Nuovo Mondo verrà smontato e trasportato sul pianeta per fornire energia alla colonia per i primi anni. Se la nave torna indietro, niente reattore per la colonia.”
“E non ne potremmo costruire un altro?” chiesi.
“Non… eh, non lo so,” disse Genly. “Certo sarebbe un po’ una sfida, tecnicamente. Comunque il piano originale di trasportare quello che abbiamo sarebbe molto più semplice, è stato progettato apposta. Per questo ne so tanto del nostro reattore, è un progetto classico. E se aggiungi il problema di personale di cui parlava Jay, posso immaginare un sacco di serie obiezioni.”
Midge aveva finito i fiori di zucca e mi stava guardando in modo strano. “Fai sul serio, Fedra?”
“Sì,” dissi, con enfasi.
Mei Ju fece con le mani il segno della calma. “Non c’è niente che possiamo farci. È una cosa che dovranno decidere i nostri discendenti.”
“Ma possiamo rendergli le cose più facili o meno,” disse Genly. “Se dobbiamo costruire un altro reattore, per esempio, meglio pensarci in anticipo.”
“C’è qualcosa che possiamo fare,” disse Jay. Aveva il suo sguardo incendiario, non so come descriverlo meglio. Jay è il mio miglior amico da quando avevo undici anni ma certe volte non lo capisco proprio. “La volta,” disse. “E’ fra un paio di mesi, no? La metà del tragitto, il momento in cui smettiamo di accelerare per allontanarci dalla Terra e cominciamo a decelerare per raggiungere il Nuovo Mondo.” Tutti stavano annuendo, chiedendosi dove voleva andare a parare. “Be’, nessuno ci obbliga a farlo. Possiamo non eseguire la volta e continuare il viaggio.”
“Ma vorrebbe dire…” cominciò Midge.
“Condannare i nostri figli a questo destino?” chiese Jay. “L’abbiamo già fatto.”
Fino a quel momento avevo pensato alla Volta solo perchè era in preparazione un grande festival di arte e spettacolo per festeggiarla. Ero prima ballerina in Jin Cullian e avevo il ruolo della professoressa in Fiori per Algernon, con due pas de deux bellissimi ma tremendamente difficili. Stavamo già facendo le prove.
“Insomma, dovremmo persuadere tutti a continuare il viaggio?” chiesi.
“Se vuoi darti alla politica,” disse Genly.
A dispetto delle paure degli stupidi refusnik americani, avevamo tutto su Speranza, compresa la politica. Mia zia Vashti aveva cominciato come attivista nel Fosso e adesso era una vice-sindaco. Mi avrebbe aiutato. E poi avevo la mia arma segreta, Jay. Jay sapeva trovare qualunque cosa.
“Non puoi dire sul serio,” disse Midge. “Non siamo ridicoli. Dobbiamo eseguire la Volta.”
“Non credo che ci sia tempo prima della Volta per prendere una decisione come si deve,” disse Mei Ju. “Dopo tutto si tratta di decidere per i nostri discendenti.”
“Non fare niente vuol dire decidere comunque.”
“Ma una volta arrivati al Nuovo Mondo avremo più scelta,” disse Mei Ju. “Non eseguire la volta, quello sì che vorrebbe dire privarli di ogni scelta. Non potranno mai fermarsi.”
Genly stava disegnando qualcosa sul telefono, ignorandoci. Dopo un attimo guardò Jay. “Mi puoi trovare il progetto scartato per il reattore?”
Jay girò il polso, schiacciò qualche tasto, poi Genly annuì e tornò a immergersi nel suo mondo, ignorandoci. Ignorò perfino l’annuncio del dolce. Noi ci alzammo per andare a servirci. Mio fratello Luke si degnò di presentarmi il suo compagno mentre aspettavamo in fila, e per qualche minuto chiacchierammo, cosa che Jay ovviamente odia. Il dolce era cioccolata liquida e biscotti. Portai a tavola una ciotolina di cioccolata per Genly e una caraffa d’acqua per la compagnia.
Genly alzò lo sguardo dal suo telefono quando appoggiai la cioccolata e sul tavolo accanto a lui. “Ho trovato,” disse.
“Cosa?”
“Se riusciamo a duplicare il reattore a fusione, il genere di sfida che alcuni dei miei colleghi sarebbero felici di affrontare, allora i nostri discendenti potranno scegliere fra tre scenari. Potranno sbarcare sul Nuovo Mondo, come da programma. Potranno rimanere su Speranza e tornare verso la Terra, con i problemi di cui ha parlato Jay. O potranno tenere Speranza in orbita come una città spaziale. Potrebbero usare i razzi per andare su e giù. Quelli che vogliono colonizzare il pianeta possono fare i coloni, e risalire ogni paio di mesi per vedere un ballette. Possono coltivare la terra e fare i contadini, ma gli rimarrebbe in orbita una metropoli di visitare, e quelli che preferiscono vivere in città potranno rimanere. E ovviamente ci sono dei vantaggi, da un punto di vista scientifico, nell’avere una stazione spaziale abitata in orbita.”
“Ma è stupendo,” dissi, cogliendo subito le possibilità. “Funziona.”
“Potrebbe essere più facile costruire un secondo reattore sul pianeta, invece di copiare il progetto originale.” Tuffò uno dei biscotti nella cioccolata e sorrise.
“L’unica differenza sarebbe nei dettagli idraulici,” disse Midge.
“L’ingegneria idraulica è sempre meglio della politica,” disse Jay.
“E ovviamente, non possiamo sapere che cosa vorranno i nostri discendenti, così come i nostri antenati non potevano sapere cosa avremmo voluto noi,” disse Mei Ju. “Potrebbero decidere di voler sbarcare tutte. O potrebbero decidere di tornare indietro. O qualcuno potrebbe inventare qualcosa di completamente nuovo e cambiare i parametri del problema.”
“Ah beh, quello può sempre succedere, in qualunque momento,” disse Genly. “Quello che voglio io è di non precludergli alcuna scelta, in modo che quando arriverà il momento, possano scegliere quello che vorranno.”
“Noi ci stiamo bene qui,” dissi, pensando ai corvi. “Stiamo bene qui. Te l’ho detto che mi hanno dato il ruolo di prima ballerina in Jin Cullian al Festival della Volta?”